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Storie di Musicoterapia

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Marco

L'audio è riferito ad un bambino di quasi 6 anni, affetto da autismo, che da circa un anno partecipa settimanalmente a sedute individuali di musicoterapia.

E' un bambino musicale il cui parlato è intonato; è curioso, esplorativo nell'approccio agli strumenti musicali che suona in modo frammentario, discontinuo.

Si tratti della batteria o delle campanelle, i suoi battiti assumono la forma di un ostinato indifferenziato cui alterna sul pianoforte o sul metallofono glissandi e suoni casuali.

Sin dalle prime sedute si evidenziano difficoltà riferibili ad un atteggiamento oppositivo e manipolativo: “Basta” “Stop” “Finito” sono parole che ritornano quando la musicoterapeuta prova a suonare il pianoforte; il tentativo inoltre di stabilire le “regole del gioco” o di sostituirsi alla musicoterapeuta nella conduzione della seduta, diventa una costante nel susseguirsi delle sedute.

Presone atto, la musicoterapeuta pone come focus dell'intervento il costruire un'alleanza terapeutica ovvero musicale con il bambino sviluppandola attraverso l'ascolto, l'accoglienza e la condivisione dei contenuti musicali da lui espressi ai fini di costruire nel tempo una fiducia nella relazione, nel luogo inteso come spazio in cui potersi esprimere liberamente e in se stesso; premesse queste per consentire un'apertura al nuovo oltre il proprio ostinato.

L'audio racconta di una seduta clou in cui é l'arrivo di un “Extraterrestre”, un charleston sui cui viene montato un “blocks double bell”e che il bambino inizia a chiamare così, a portare il nuovo, il cambiamento.

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Nel vedere quello strano strumento c’è una iniziale ed evidente fascinazione data dalla forma e dal colore dell'Extraterrestre: il bambino lo osserva, lo suona battendo entrambi blocks e piatto poi si allontana. Seduto sul cajon muove le braccia come fossero ali in volo e batte alternativamente il lati dello strumento poi ad un tratto si ferma e domanda “Ma sei tu avanti a suonare o sono io?”

Qualcosa é accaduto: per la prima volta il bambino si accorge del matching che la musicoterapeuta sta facendo e quindi si domanda chi sta ripetendo quello che l’altro sta suonando.

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“Siamo insieme” gli rispondo io confermando la sua percezione di ritmi musicali che si stanno inseguendo.

Ma ecco che il pensiero dell’Extraterrestre ritorna; “Extraterrestre” dice il bambino dandogli poi un bacetto, “Lo so che hai sete” continua e inizia a prendersi cura di lui dandogli da bere con una maracas. Seduto sul cajon dice “Mi devo preparare” e, per un momento tornando al suo tono di “comando”, continua “Canto io che lo so fare” ed ecco che intona un Buon Compleanno tutto personale per l’Extraterrestre.

Nella sua improvvisazione vocale prende forma un racconto fatto di imprevisti, di disguidi “E’ il tuo Compleanno, la torta non è pronta, ci siamo dimenticati….”.

Le immagini catastrofiche sono spesso presenti nelle improvvisazioni musicali del bambino ma ecco che, a sorpresa, ora colma il finale di affetto e poesia intonando “Stai tranquillo, calmo...oohh...”.

La voce inizialmente marcata, quasi ritmando come in una filastrocca le parole man mano sembra allentare la cadenza per ammorbidirsi in un finale fatto solo di un “oohh” ondeggiante fino a dissolversi. L’intonazione collima con quella sostenuta dal pianoforte e la musicoterapeuta rinforza l’idea melodica del bambino restituendola vocalmente.

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Le scelte della musicoterapeuta sono state:

partecipare in silenzio al prologo per poi farsi alleata nello svolgersi della scena intervenendo al pianoforte; utilizzare armonicamente la cadenza andalusa in la minore aderendo ad intonazione e contenuti espressi dal bambino; sottolineare con intervalli di seconda e terza discendenti la cadenza vocale del bambino; arricchire quindi l’intervallo di terza e modulare per approdare alla tonalità di Mi maggiore.

Ed é così che il musicale, passando attraverso l'Extraterrestre, ha consentito ad entrambi di fare un’esperienza nuova: toni, timbri, andamento sono cambiati, la voce si è fatta più dolce e flessibile nel cullare l’Extraterrestre ed anche un po' se stessi; nuove parti e sfumature del Sé sono emerse e l’alleanza terapeutica è apparsa più vicina e possibile.

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Andrea

Chi suona al pianoforte è un bambino di 11 anni affetto da una patologia rara che inesorabilmente porta alla perdita di vista ed udito.

E' alla sua quarta seduta.

Il bambino non ha mai suonato alcuno strumento musicale, vuole quindi provare un po' tutto, mostrando preferenza per il pianoforte; gli piace molto la musica che ascolta sin da quando è piccolo.

In questo estratto audio é coinvolto sin dalle prime note in un flusso musicale che pur nascendo dalle sue prime note al pianoforte, si sviluppa e snoda poi in un dialogo comune, tra lui ed il musicoterapeuta, che ha dell'incredibile.

Se é vero che il musicoterapeuta ascolta quanto il bambino sta suonando, ne ricalca ritmi e tratti melodici, cerca di includere elementi e frammenti in un fraseggio di senso musicale compiuto, introduce variazioni, crea momenti di sospensione per favorire le risposte, é anche vero che il bambino, a sua volta, ascolta con grande attenzione, mostra sensibilità verso le atmosfere spagnoleggianti o russe, ripete e propone ritmi, suona all'unisono fraseggi, conclusioni di frasi, coglie in definitiva il senso musicale di quello che sta accadendo.

 

Ecco allora che tutto il significato della espressione “Music Child” usata da Paul Nordoff e Clive Robbins sembra ad un tratto rendersi chiaro e manifesto attraverso questa musicalità innata, intatta, unica che una seduta di Musicoterapia ha potuto svelare, far emergere e valorizzare.

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Graziella

Graziella ha quasi 85 anni ed è affetta da demenza. 

In questa breve clip, Graziella suona con le maracas con energia ed impegno. 

 

Graziella è presente e concentrata, totalmente assorbita nel fare musica ed impegnata a creare vari ritmi con il supporto della musicoterapeuta. 

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Le sedute, che avvengono una volta a settimana, offrono a Graziella un'opportunità di dialogo attraverso la musica, e danno spazio al suo spirito intraprendente e creativo. 

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Marco é un bambino molto creativo: osserva sempre tutto attentamente, pone tante domande per conoscere le cose che vede poi, con la sua fantasia, costruisce ed inventa luoghi, situazioni ed interazioni tra le cose stesse.

Ma cosa succede quando sono gli strumenti musicali a diventare oggetto della sua fantasia trasformandosi in giocattoli che non suonano e quando l'entusiasmo nel costruire questi giocattoli, il coinvolgimento nel racconto e nell'azione del gioco stesso prendono tutto il tempo della seduta?

 

Di fronte all'inaspettato ci si interroga: che fare? che parte potrebbe avere questo non-musicale nella seduta? ma é poi davvero non-musicale?

 

Durante la seduta Marco raggruppa tutti gli strumenti con supporto (timpano,charleston, rototom,piatto..) o relativamente alti o ancora con forme che corrispondono alla fantasia in atto, in un villaggio di grattacieli davvero originali. Identifica il suo grattacielo in un tamburo stretto con due punte-maracas che si stagliano nel cielo e si diverte a pensare a quanti piani potrebbero avere.

Nulla suona ancora....

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La musicoterapeuta osserva, ascolta, aspetta poi coglie il momento per rilevare un aggettivo, un'immagine dall'eloquio di Marco e farli diventare musica cantando; per simulare insieme la salita al grattacielo con clusters ascendenti al pianoforte, per suscitare risposte vocali, per accompagnare il movimento-danza che nasce, ad un tratto,libero ed infine per fare suonare tutta l'orchestra dei “grattacieli musicali”.

 

Stare nel momento, leggere il musicale che é dentro la realtà delle cose, della voce, della persona.

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